Curioso. Ho visto pochissime volte Sanremo in vita mia, e mai avrei pensato di partire da lì per una riflessione ben più articolata.
Premettendo che è stato bellissimo vedere mia madre che, in veneto stretto, impreca contro Salvini difendendo Mahmood. Mi è sembrato di rivedere la vecchietta lombarda che entra dal mio kebabbaro di fiducia e gli chiede “Du, senza la scigola”. Globalizzazione casereccia in salsa polentona.
Ho accostato volutamente foto che (apparentemente) non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra, ma che servono ad attirarmi le ire di chi (tanti in realtà) leggerà solo il titolo. Perché qui è un paese intero che si sta perdendo in un turbine di niente, senza nemmeno capirlo. Un paese che può ancora essere “preso per i capelli” e riportato su. Basta volerlo.
Partiamo da Sanremo. E non me ne voglia Salvini, seppur abbia ancora un consenso stellare stavolta l’ha toppata. Perchè è un Ministro, il Ministro degli Interni, e sarebbe ora che si occupasse dei suoi temi, e il fatto che commenti qualunque cosa, dal Milan a Sanremo senza averne i minimi strumenti comincia ad essere stucchevole.
Apro la parentesi Sanremo, prima di tornare al tema ben più serio. Chi dice di non strumentalizzare o che, secondo me non ha ben chiara la funzione dell’arte nei secoli. L’arte porta un messaggio che da sempre emoziona, contrasta, rompe, crea, distrugge. Le arti figurative, la musica, il teatro da sempre veicolano queste cose…e le veicolano in funzione del momento storico nel quale ci si trova ma anche in funzione di chi ne è l’autore. E ciò può anche essere per condizioni involontarie nel quale ci si trova. Che, come in questo caso, a volte travolgono anche lo stesso autore dell’opera.
E quindi per una serie di condizioni abbiamo avuto: Festival che spaventa il governo solo perchè “non allineato” (e questa è la cosa che mi spaventa di più, unito al Ministro del tutto sopracitato) –> Ragazzo di origini egiziane ma italianissimo (“mi sento italiano al 100%” è stata la perla finale) cresciuto in una grande periferia –> Vittoria della manifestazione canora nazionalpopolare per eccellenza –> BABUMMM messaggio esplosivo.
È arte, e da sempre crea contrasto, ma resta sempre tale. Mettiamoci il cuore in pace, ma queste divisioni su significato e messaggio ci saranno per sempre. Chiusa parentesi Festival. Game, set and match.
Ok ora torno alla parte seria (semi-seria, mai avuto la pretesa di essere preso sul serio). Non è solo il poter dire qualunque cosa su qualunque cosa senza freni a spaventarmi. È il sostrato culturale che mi spaventa.
Un mostro mediatico e di linguaggio come Salvini sdogana questo tipo di messaggio in una società che è profondamente divisa, che non è più in grado di stare insieme su valori comuni e i problemi sono rimasti lì a macerare, e ora stanno puzzando tremendamente.
Una società dove passa la forza del più furbo, del più grande, e che non è in grado di costruire quella rete di relazioni che le permettevano di salvarsi “collegialmente”. E quindi tutto resta lì, diviso e in conflitto.
E il lavoratore non è in grado più di capire la differenza tra un diritto e un sopruso, un medico non è più rispettato perchè “lo dice lei che ho l’influenza”. E un popolo non è in grado di capire nemmeno gli effetti oggettivi di una legge perchè tutto in questa divisione è “molle”, si piega in funzione del consenso momentaneo.
Un paese che non conosce nemmeno la sua storia, perchè anche quella è consenso, diventando un ritornello “difendiamo le nostre radici”, senza sapere che le nostre città hanno monumenti arabi, bizantini, piazze progettate da austriaci con grattacieli costruiti da orientali ed iraniani. E manco lo sappiamo, e nemmeno riflettiamo su questa grandezza.
E anche la vittoria di un ragazzo italiano al Festival di Sanremo crea scandalo.
È qui, in questo campo, che la politica ha fallito ed è necessario andare oltre, come pensiero e come cultura. Oggi non riusciamo più a tenere insieme la società del nostro paese. E la società la tieni insieme educandola, educandola a comprendere, educandola a leggere, educandola a capire. Manca quel patto tra le parti, tra élite e masse, tra competenze e fruitori e mondo, tra corpi della società e singoli individui.
Ma non tutto è perduto, lampi, risposte, ci sono e ci saranno sempre. Tutto sta nel riuscire a metterle in un disegno culturale comune. Un disegno culturale che, alla fine, fa la cosa più semplice ma che tuttavia manca: rimette al centro la persona, con le sue competenze, le sue capacità e le fa vivere in una rete di relazioni che hanno un valore, un senso ed un significato.
E allora tornerà un momento nel quale i lavoratori riconosceranno diritti e li distingueranno dai doveri. Dove un medico potrà curare senza essere considerato un cialtrone a priori. Dove forse un po’ più di Politica non guasterà mai. E dove un ragazzo italiano può vincere senza polemiche sulle sue origini può vincere un festival canoro.