Ma che vuol dire??

È uno di quei post che è finito al macero nella mia mente, ha sedimentato, e ora prende forma in un qualcosa di senso compiuto ( e i più maliziosi potrebbero dire “ah quello che scrivi ha senso compiuto?” E a volte nemmeno io lo penso veramente).

Due sabati fa durante l’incontro di presentazione di Giorgio Gori sono stati snocciolati dei dati preoccupanti sulla disoccupazione giovanile, sui neet, sulla fuga di cervelli. Dati preoccupanti certo, dati ai quali ho pensato subito “bisogna dare una risposta” (possibilmente politica e concreta).

Ma poi appunto ho riflettuto (fatto macerare i pensieri) e ho pensato “Giovani, ma che vuol dire?”.

Già, perchè puoi dare una risposta a qualcosa se si han ben chiari sia chi la pone questa domanda sia che domanda pone.

Classificare oggi i “giovani” penso sia un lavoro immane: non perchè sia solo una questione meramente anagrafica, ma perchè è impossibile definirne un’unica istanza, un’unica necessità. In pratica non esistono i giovani in quanto tali.

Sarò drastico: non è possibile inquadrare i giovani oggi. Ci sono ragazzi che studiano, altri che lavorano, altri che nessuna delle due cose, quindi è difficile porsi in un dialogo univoco. O meglio, è difficile avere una domanda univoca, e non si può dare una risposta univoca.

E andrò ancora più avanti nell’analisi: questi “differenti” tipi di giovani non riescono a vedersi tra loro, non comunicano per portare avanti un tema (o più temi) cari alla propria generazione. Forse sarebbe più corretto parlare di generazioni, ma mi dilungherei in un’analisi ancor più lunga.

E così finisce che il giovane imprenditore non parla con il giovane impegnato in politica, lo studente non dialoga con il giovane operaio e così via.

Risultato: nessuna domanda comune, necessità divise e separate, risposte mancanti e di conseguenza senso di non essere rappresentati.

E gli uditori, quelli che dovrebbero raccoglierne le istanze sbagliano totalmente approccio parlando di giovani come una massa mucillaginosa, informe e incolore.

Il problema sta anche nell’uditore, che non riesce a cogliere il nesso che non esiste solamente “un tipo” di giovane, ma esistono i giovani.

E fanno tanto. Fanno tante cose. Le fanno bene. Fanno fatica. Ma ci provano in tutti i modi.