Alcune righe, tuttavia piene di significato, inviatemi dall’amico Giuseppe Emilcare, in risposta al mio articolo di ieri “Nascosta sotto i bla bla bla“
Poiché s’è da tempo avviata una conversazione, che ci si sforza di condurre in maniera dotta, con l’amico Pivanti e che ha il suo cominciamento più nitido in un viaggio per Roma, allora il suo articoletto sul film di Sorrentino “La grande bellezza” origina queste rapidissime note casuali. La città eterna è senza dubbio uno fra i protagonisti della pellicola e la sua rappresentazione è probabilmente al fondamento del suo successo, soprattutto per il pubblico estero. Della capitale appare l’aspetto meraviglioso della rovina, deserta di uomini e di rumori e in tale veste costituisce lo sfondo più perfetto per le camminate pensose di Jep. Ma ciò non è che illusione, d’altronde evidenziata dal riferimento iniziale al testo famoso di Celine, Viaggio al termine della notte e credo i legami non si fermino qui; dicevo che in fondo non si tratta che d’un’illusione, d’una pregevole finzione elaborata con piena coscienza che tuttavia offre un’immagine estetizzante di Roma troppo immobile, troppo linda, troppo luminosa. Non credi tu che un grande assente dal film sia il caos, il disordine? Una sorta d’impurità proveniente dai monumenti del potere antichi, moderni e contemporanei? Gli stessi raggi di sole che ne lambiscono le superfici paiono tingersi di macchie. Quel puzzo di dover veder crollare le cose che ci parve di respirare per Roma e che assaporammo con avidità ma con una inesplicabile titubanza? La difficoltà sta nel riconoscere la bellezza, sepolta sotto il chiacchiericcio e le occupazioni mondane; la nostra miseria abbruttente ferisce noi e i luoghi che percorriamo. La realtà di festa con i suoi attori fatui, con la sua musica à la page, con l’alcool a fiumi, ci dice Sorrentino, è irredimibile e il grottesco, il patinato dei vestiti, delle pose e della mezza cultura – Proust e Ammaniti accostati come scrittori preferiti – non ci salverà. Tu scrivi che Jep “si rende conto della futilità di quello che gli accade intorno” e sembri riferirlo in maniera esclusiva alla popolazione dei party romani. Ma io tento di estendere l’area di pertinenza della tua affermazione e mi domando se anche l’immagine di Roma come rudere sia una parte della fantasticheria. D’altra parte, per cercare una dimensione d’essenzialità, il nucleo più veridico del proprio essere Jep è costretto ad andare fuori da Roma sia nella memoria del primo amore fallito sia nel luogo fisico nel quale avvenne l’epifania della bellezza. Questi movimenti a ritroso nel passato finiscono per coincidere e per determinare un inizio rinnovato. Così, laddove nel tuo pezzo liquidi la vicenda esistenziale d’un vecchio che percepisce un vuoto avanzante e che la morte renderà infinito, io vorrei suggerirti di riflettere su entrambi gli aspetti, quello esistenzialista del Gambardella e quello estetizzante della scenografia. La quale, dunque, se ho scritto facendomi intendere, è forse qualche cosa di più che una banale scenografia per le foto delle masse di turisti.