Lo ammetto, all’epoca ero molto scettico. O meglio, affascinato ma scettico. Poi col tempo sempre più affascinato. Poi sono successi due fatti (ma alla fine sono parti quasi dello stesso “accadimento”) che mi han fatto dire “devo vedere quel film, forse ora ho gli strumenti per capirlo”.
Due sere fa chiacchierando con un amico ho deciso di vedermelo, questo “La Grande Bellezza”.
Una premessa: per capire il film fino alla fine bisogna conoscere la società romana, la città con tutti i suoi angoli e soprattutto i suoi stereotipi. Perchè ovviamente è un’immagine amplificata della realtà della capitale. Altrimenti resta un film ermetico sull’esistenza umana. Che merita una visione certo, ma non da far gridare al capolavoro.
Riassumo il tutto in tre lettere: wow.
È un’umanità decadente e pacchiana quella raccontata dal film, animali che popolano le notti “in” della capitale. Dove è messo in luce l’ostentare piuttosto che l’essere veramente. E un Jep si rende conto della futilità di quello che gli accade attorno, che piano piano muore e va in declino.
Ma restano alcune cose vere, e come dice la “Santa” alla fine del film, “Le radici sono importanti”.
Un personaggio, oltre al protagonista, svetta su tutti gli altri: Ramona. Anche lei illusa e maltrattata dal mondo, ma è l’unico personaggio che non indossa una maschera, che effettivamente è così come appare. Non cerca di ostentare nulla. E nonostante un destino segnato, un crede ancora alle cose belle della vita.
Un aneddoto dicevo. Bazzico spesso Roma per svariati motivi. L’anno scorso mi sono trovato in due feste private nella capitale, in locali in zone che definire centro è poco. Era la Roma con le strade coperte di sampietrini (non rivelerò i nomi dei luoghi altrimenti è troppo antisgamo). Ovviamente erano feste private, quindi solo con determinate persone fino ad una certa ora. Poi dopo un determinato orario i locali “aprivano” e diventavano discoteche a tutti gli effetti. E lì han cominciato a riempirsi di umanità varia: signore non più nel fiore degli anni che si atteggiavano da ventenni con abbigliamento analoghi (scusate la franchezza ma a volte con effetto salume non particolarmente gradevole), uomini attempati anch’essi (probabilmente gli ex mariti delle signore di prima) accompagnati da ragazze che potrebbero essere loro figlie in atteggiamenti inequivocabili, o ancora ragazzi più giovani di me in auto che lavorando nemmeno una vita potrei permettermi. Il tutto condito dalla parlata romanesca, che aggiunge un tono grottesco alla situazione.
Mi sentivo (seppur non l’avessi ancora visto) alla festa di compleanno di Jep Gambardella. E ho provato dapprima indifferenza, ma poi disgusto. E al culmine del disgusto ho fatto esattamente quello che avrebbe fatto Gambardella: sono uscito a passeggiare per la città, una volta fino alle Mura Aureliane, e la volta successiva attraversando tutto il centro per trovarmi a Termini, discutendo di politica estera quella volta. E riflettevo, su tutto, su ogni cosa mi passasse per la mente.
Avevo visto un lato di Roma che mi ha colpito, ma era comunque Roma.
Non so se dirvi “visitate Roma” oppure “guardate La Grande Bellezza”. Probabilmente, il bello è fare entrambe le cose, e metterle insieme dopo.