Non lo nego, l’articolo comparso qualche giorno fa su Business Insider mi ha portato a riflettere non poco. Non tanto sulla fine degli Smartphone ma sulla possibile evoluzione.
La parte “nerd” che ancora sopravvive in me mi ha subito riportato alla saga videoludica Deus Ex, ambientata in un mondo futuristico dove le nanotecnologie sono parte integrante della vita dell’essere umano, tanto da dominarla. Il primo capitolo ovviamente è stato considerato fin troppo fantascientifico (stiam parlando del 1999), ma gli ultimi due capitoli hanno rinverdito non poco la saga.
Ma tralasciando gli aspetti videoludici, partiamo da una cosa che oggi si sente spesso nominare, l’Internet of Things (IoT per brevità).
Oggetti intelligenti, connessi alla rete, che sono in grado di dialogare con una miriade di altri oggetti connessi. Connessioni che permettono di controllare gli oggetti a distanza, ma che permettono anche di inviare dati sul funzionamento, sull’utilizzo che ne facciamo…e finchè si tratta di oggetti, e di dati sul loro utilizzo può essere interessante anche studiarli (non solo a fini commerciali come penseranno i più maliziosi). Tutto questo e l’ IoT.
Ma se (direi meglio quando) diventeremo noi l’oggetto connesso alla rete, o meglio parte del nostro corpo?
Lo dico subito, non sono un fanatico Neo-Luddista, anzi ho sempre creduto che la tecnologia impiegata nel modo corretto e con la giusta consapevolezza possa effettivamente migliorare la vita.
Oggi siamo giunti alla fase nella quale esistono tecnologie wearable (vestibili), ma che dalla maggior parte degli utenti vengono vissuti come un costoso giocattolo, un di più.
Detto terra terra, fa figo controllare le mail dall’orologio, ma è un di più, non è una necessità fondamentale. Dopo un anno mi sono stufato dello smartwatch e ho restaurato un vecchio orologio meccanico, molto più “fashion”, e lo sto dicendo io che non ho mai in tasca meno di due cellulare e un tablet nello zaino.
Ma da qui a breve (anzi, penso che 90 su 100 esista già), non vedo impossibile la creazione di un dispositivo “connesso” che permette per esempio di controllare costantemente valori del sangue in soggetti con particolari patologie (ipertesi, diabetici etc.). Ovviamente da Biomedico vedo queste applicazioni in primo luogo, anche se sono fuori dal “giro” medicale più o meno da quando mi sono laureato.
Queste sono le applicazioni positive e già attuabili. E ce ne potrebbero essere altre. Ma se immaginassimo una retina amplificata che permette di far “girare” applicativi di realtà aumentata? E se immaginassimo direttamente parti di corteccia connesse?
La parte bella e “giocosa” è un enorme “social network neurale” nel quale noi, macchine e utenti in contemporanea possiamo condividere ricordi, immagini, perfino emozioni…
E se non saremo noi a scegliere? In quanto dispositivo connesso, puoi tranquillamente violarlo. Solo che in questo caso sono i tuoi pensieri, le tue emozioni, quello che vedi ad essere violati, non alcune foto su uno smartphone o qualche numero dalla rubrica o sms. O ancora peggio, questa volta sei tu ad essere controllato, magari senza nemmeno accorgertene.
Non voglio fare il catastrofista tecnologico, però in questo caso diventa ancora più importante la sfera dei diritti legati alle informazioni e alla protezione delle informazioni, non solo, alla protezione di noi stessi nella rete e ancor di più, al diritto all’oblio di quello che noi compiamo e delle nostre azioni. E anche a quello di scegliere di vivere disconnessi, che ora può essere praticato, ma un domani se diventerà fondamentale vivere connessi?
Vi lascio con il video provocatorio ovviamente delle Sarif Industries. Ovviamente è un video commerciale legato al videogioco sopra citato, ma può essere interessante come sviluppo. Infatti nel plot di Deus Ex la Sarif è la corporazione che controlla e produce gli impianti tecnologici per umani, ma non solo, produce anche il farmaco (tremendamente costoso) per evitare il rigetto degli impianti…e alla fine sceglie di scatenare un’immensa rivolta sul pianeta, tramite un semplice comando…