Prendete un quadro surrealista e ambientatelo ad Ostia, o comunque un quartiere periferico di Roma sul mare dove criminalità, piccoli “accolli” e futuro senza speranza convivono con gli stessi colori. Questo è Dogman.
Un gioiellino del cinema italiano, liberamente ispirato ad uno dei delitti più famosi della storia del crimine italiano.
Non si può non sentire da subito un legame empatico con il protagonista, Marcello, omino secco e minuto che per arrotondare spaccia e sopporta le angherie quotidiane di Simoncino. E che dimostra amore solamente per due cose: i cani che cura nella sua piccola toelettatura e sua figlia.
Un’esistenza rassegnata, dove azioni criminali sono parte del quotidiano e dove l’esistenza stessa è rassegnata al doverle subire. E chiunque sembra perdere la speranza e chiunque rinuncia a cambiare e a migliorare la propria esistenza, come se tutto dovesse restare tristemente immutato.
Ma nonostante ciò Marcello vuole bene al suo mondo, anche a quel Simoncino che ha condannato la sua esistenza.
Non è un’umanità cruda, è cotta al sangue, perchè tra il colore rosso dei delitti e delle risse si sente quel lieve calore quando il protagonista fa qualche immersione con la figlia o quando si perde a guardare il mare davanti a palazzoni gelidi.
Da vedere.