De Bortoli e l’istituzionalità…

Ferruccio de Bortoli a Turate. Ebbene sì, il direttore del Corriere della Sera che dalla grande e bella mela milanese si è spinto fino alla bucolica Turate (mica tanto bucolica). Mi spiego meglio. L’associazione politico-culturale “Progettiamo Turate” ha realizzato una serie di incontri dal titolo “Siamo Tutti Coinvolti”, nel quale in ogni incontro un big della politica e della società italiana sviscera una tematica di attualità, tematiche che spaziano dalla situazione politica a Expo 2015 passando per la situazione industriale comasca o la questione femminile. Ce n’è per tutti i gusti insomma. In ogni caso per chi volesse partecipare ai due eventi rimanenti ecco qui il volantino.siamo-tutti-coinvolti-a42

Però questa mia modesta analisi riguarda l’incontro con de Bortoli, e spero di trovare il tempo per poter partecipare agli altri due. O meglio, ad una specifica domanda che ho rivolto al direttore del Corriere della Sera, sulla quale mi piacerebbe dibattere ancora un pochetto, un po’ per ragioni personali un po’ perchè il tema comunque lo ritengo cruciale per il paese tutto. L’incontro in pieno stile “corrieriano” ha mantenuto un profilo proporzialmente equidistante da tutto e tutti gli schieramenti. Ma è giusto così: il Corriere ha sempre mantenuto questa linea di neutralità ed il suo direttore ovviamente non è stato da meno, e comunque ha toccato nel corso della serarta molti temi che meriterebbero ciascuno ore e ore di riflessione. Mi è piaciuta soprattutto questa sua frase: “Non dobbiamo raccontare solo quello che non va”.

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Vero. Anche quello che funziona, ogni tanto, merita di essere ricordato. Quello che per anni ha “funzionato” in Italia (e da qui mi riallaccio alla mia domanda) è stato quel tessuto sociale di PMI, che ha costituito l’ossatura dell’economia italiana. Perchè qualcosa di piccolo è riuscito a sostentare l’economia di un paese come il nostro? Perchè quel piccolo è stato in grado di produrre qualcosa di eccellente che gli ha garantito per n anni la sua nicchia di mercato. Ora invece questo sta venendo meno, perchè queste aziende sono state tragicamente lasciate sole. Non sono più state in grado di essere competitive in quella nicchia perchè è arrivato tizio caio o sempronio dal paese x y z che produce lo stesso articolo a meno prezzo. “…Ora dottor de Bortoli, alla luce di tutto ciò, non varrebbe la pena di riformare, al di là del sacrosanto costo del lavoro, anche l’idea di ricerca industriale? Ossia: queste imprese anche piccole devono essere in grado di innovare sè stesse per tornare eccellenza, magari un po’ più cara, ma comunque riconosciuta con un valore aggiunto. E se non è lo stato a dare l’input a questo processo, chi altro può essere secondo lei?”. Come citato dal dott. de Bortoli, esistono eccome esempi di collaborazione di ricerca tra pubblico e privato, tra università e ricerca. Ma vorrei andare oltre. Un’azienda piccola, è vero è piccola, ma è in grado più di altre più grandi di muoversi, perchè può agire e decidere con molta più rapidità. Ma se non ha disponibilità? E’ vero all’estero tutti gli italiani hanno avuto successo con le loro idee, ma non sarebbero andati molto oltre se non fosse esistito quel tessuto che qui non abbiamo (o meglio che è molto embrionale) di Venture Capital, Crowdfunding e sostegni statali. Oggi da una PMI italiana la ricerca viene vista come una perdita, non un investimento. Ed è questa visone da cambiare. Ora provo a chiudere estendendo la domanda anche a tutto il resto:

E’ sufficiente una riforma per cambiare la mentalità di una nazione come la nostra?

Perchè il riassunto alla fine è questo: è la nostra mentalità da cambiare, nient’altro.