Non è solo l’estate, è un posto nel nostro mondo

D’altronde siamo pur sempre ad agosto, l’estate più calda della nostra vita finora (e non solo per le temperature) e qualcuno come il sottoscritto non farà le ferie (e manco vi dico per quale motivo…). E quindi tra una dormita scomoda con le finestre aperte e le chiacchiere con chi è rimasto qui a condividere le scrivanie mi sono venute in mente le estati passate, ma non quelle di qualche anno fa (che mi ricordo benissimo nel bene e nel male) ma proprio quelle passate “da mo’”. Quelle delle scuole medie e quelle delle superiori.

Eh già, perché la mia, quella di chi è nato nei primi anni ’90, è una generazione malinconica. Soprattutto qui in Italia, perché abbiamo respirato proprio il cambio della società. Dal vivere sotto una campana di vetro, dove i valori e gli schemi erano lì ben definiti e ci erano stati dati da chi ci ha preceduto, ci siamo trovati a vivere dentro lo stravolgimento, senza capire fino in fondo se veramente siamo “di qua” (con chi ci ha preceduto) o “di là” (cioè con la nuova generazione).

E l’estate, a casa, tra compiti delle vacanze, viaggi con mammà e papà nei quali non capivi se eri davvero felice o no, era la summa di quello schema.

L’estate nelle quali o eri uno che si ammazzava di dance o eri un rocker metallaro, per poi scoprire a 30 anni che Avril Lavigne esiste ancora e che non sai se preferisci “Gli Anni” degli 883 o quella di Jake la Furia, ma le canti comunque. E sotto sotto a 13 anni ascoltavi sia il rock che la dance (poi c’erano quelli come me che si davano al cantautorato).
L’estate dove guardavi il Festivalbar, che poi improvvisamente è sparito e non sappiamo perchè (perché diciamocelo, quelle serate che fanno ogni tanto nelle piazze delle città non sono minimamente paragonabili).
L’estate dove ti ammazzavi di calci e polvere dietro ad un pallone in oratorio, perchè c’era solo quello, e se facevi il numero più figo eri il più figo (io giocavo in porta, quindi alla fine era sempre colpa mia).
L’estate dove ti trovavi ad avere il 3310 per mandare gli squilli, e poi l’estate dell’anno successivo avevi già il cellulare con la fotocamera per mandare gli MMS, poi l’anno dopo ancora avevi già il bluetooth per condividere cazzate di varia natura, e poi “oh ma c’è internet anche sul telefono?”. E la ricarica la pagava sempre mammà alla fine.
L’estate dove vedevi quelli un po’ più grandi di te con la macchina e “la tipa”, e tu forse forse avevi un motorino spiombato (o a piedi come il sottoscritto, perché odio la bicicletta) e ci andavi da solo.
L’estate dove speravi di vivere la storia più importante della tua vita, ma andava sempre e comunque male (nel mio caso perchè non la trovavi mai).
L’estate dove pure il 56k ed MSN andavano in pensione, perchè erano solo sul PC e mica potevi portartelo dietro in vacanza.
L’estate dove il viaggio a Riccione (tuo o degli amici) sembrava il viaggio del secolo.
L’estate che speravi non finisse mai, ma il primo giorno di scuola anche se con il broncio era bello così, con gli spanati che impennavano con il Booster all’ingresso.

Perchè in quegli anni sapevamo esattamente qual era il nostro posto nel mondo, anche se non ce ne rendevamo conto. Oggi invece non lo sappiamo, non sappiamo incasellarci, ce lo stiamo costruendo a fatica e non accettiamo di aver perso quel posto. E la nostra generazione è ancora lì che cerca, costruisce ma e fatica a farcela ma ci prova. E chi è venuto di noi è già cresciuto senza lo schema che avevamo noi, e quindi si sta costruendo da sola da sempre schemi e valori.

Ma, anche oggi, noi che abbiamo quasi o più di 30 anni (e tra meno di un mese per me sono 32, il numero di Bobone Vieri), se passano alla radio le canzoni dei Blink 182 o di Gabry Ponte le cantiamo esattamente come allora, se ci viene detto “due giorni a Riccione?” siamo già in auto, ma dopo la prima serata abbiamo ginocchia andate e cerchi alla testa, siamo tutti sui social ma non capiamo se li amiamo o li odiamo (per me dipende, sono sempre di più un reddito) o peggio li usiamo come i nostri genitori, dove andiamo ancora al Luna Park e sembriamo avere quattro anni. Siamo quelli che quando vanno ai matrimoni (degli altri) si chiedono “E chissà se io prima o poi…” o quando vedono compagni di classe degli anni passati vivono solo serate amarcord. E piangiamo quando rivediamo il finale di “Strappare lungo i bordi” perché siamo esattamente noi.

Perchè alla fine quel posto nel mondo ci piaceva, nonostante tutto. E ci piace ogni tanto respirarlo ancora.

P.s. mi sono reso conto di non avere foto “belle” di quegli anni, quindi ho preso una foto dell’ultimo giorno di quinta superiore, forse il primo del capitolo successivo…

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