Un attacco di “esterofilia” (e di isteria)

L’immagine è volutamente grottesca, come i personaggi coinvolti e la situazione in sè del resto. Non sono mai stata un grande “esterofilo” e nemmeno commentatore di politica estera. Lo vedo come come un segno di onestà da parte mia: non credo che un singolo possa da solo condizionare dinamiche che riguardano interi stati, dinamiche che vanno risolte con una concertazione collettiva (e ancor di più un singolo al mio livello, è già tanto se capisco le dinamiche della mia provincia figurarsi quelle tra stati). Per questo appunto “esterofilia”.

Prendetelo come una sorta di esperimento, nato da una riflessione tutta personale (come sempre a modello “spugna”). Non mi interessa commentare il risultato in sè, quello oramai c’è stato e poco si può fare, mi interessa capire le dinamiche che hanno portato a quel risultato. La “Brexit” è una conseguenza chiara della politica della nostra epoca, una politica che non è più in grado di leggere e governare i fenomeni umani ma che li subisce solamente o ancora peggio li fomenta. Cameron ne è l’esempio plastico, ha giocato con la politica estera a fini personali e ora si è schiantato contro un muro. Il problema è che quando sei un capo di stato o di governo ne vanno di mezzo tutti, e anche gli stati vicini. Prima per consenso interno prometti il referendum, poi durante il referendum fai campagna esattamente per la posizione opposta e poi lo perdi…complimenti. Se non altro (e qui passatemi la battuta) sarà ricordato per essere la persona che è riuscita a dare l’indipendenza alla Scozia e a riunire le due Irlande dopo millenni di botte da orbi (ora mi sto “svaccando” con il linguaggio, torno più formale).

È chiaro che questa situazione porta ad altre conseguenze esplosive: Londra era la capitale finanziaria dell’Unione Europea, i capitali stranieri venivano investiti nel mercato londinese perchè una volta arrivati a Londra erano arrivati in Europa. Ora invece tutto il flusso finanziario transiterà verso altri mercati, probabilmente verso Francoforte, e ciò causerà una ancora più marcata presenza teutonica nell’economia continentale (con buona pace degli Inglesi che volevano esattamente l’opposto). Stessa cosa per la Toyota e la Nissan, che hanno le loro basi commerciali proprio nel Regno Unito e ora dovranno approdare in altri lidi nel continente, così come tutti gli enti europei con sede a Londra. E quindi? Ciò causerà ancor più disoccupazione ed emarginazione sociale.

A voler fare l’avvocato del diavolo, se fossi un legislatore degli altri paesi rimasti nell’Unione correrei subito ad attrezzarmi e mi metterei in condizione di ricevere tutto questo flusso di capitali ed attività produttive in uscita. Ma purtroppo ci sono altri fenomeni da baraccone che starebbero bene nell’immagine qui sopra che già hanno detto “È il nostro turno…usciamo anche noi”.

In un mondo dove più si è “grandi” (e non solo in termini di popolazione ed economia, ma anche come tecnologia, come capitale umano in termini di manodopera specializzata etc. etc.) più si conta e dove si affaccia una Presidenza degli Stati Uniti a guida Trump, il Regno Unito sarà un’isoletta isolata (perdonate il gioco di parole) che resterà sempre più isolata. Essere grandi significa avere un modello di paese non perfetto ma che quantomeno sia funzionale agli intenti: gli Stati Uniti con la loro voglia di egemonia continentale e mondiale, la Cina con il suo capitalismo sfrenato di stato, la Russia che fa della sua enormità territoriale la sua forza…e il Regno Unito? Un’isoletta là in alto, bah una volta contava qualcosa, ora se la canta e se la suona (scusate lo “svacco”). E ciò come detto prima crea emarginazione politica, ma ancor di più economica e soprattutto sociale, con strati di popolazione sempre più numerosi che non riusciranno a trovare il loro posto in quel sistema paese che non riuscirà più a ripensarsi.

E l’Europa? Beh quest’uscita può essere vista come un’occasione per ripensare sè stessa e realizzare tanti nodi che sono sempre lì vivi e pronti ad esplodere (come ad esempio l’annosa questione della convergenza economia ed infrastutturale).

Da come scrivo spero si capisca che non sono un euroentusiasta (nel senso più negativo del termine) ma un eurorazionale: cerco di capire la dinamica globale (per quanto possa) e mi rendo conto che nello scacchiere è meglio essere un cavallo, una torre, o un alfiere piuttosto che un pedone, e per essere uno di questi pezzi bisogna agire come tali, e lo si fa uniti con altri, perchè dall’altra parte pedoni non ce ne sono. Ma sono ottimista, ottimista-razionale in questo caso (mi piace la parola razionale), e mi rende tale e convinto di questa affermazione un dato: il 75% dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha votato per restare nell’UE. Non dirò mai “ecco i vecchi ci rubano il futuro, i vecchi decidono per i giovani”, perchè è una questione generazionale: non voglio fare un discorso su questo scontro (magari in un prossimo articolo), ma abbiamo di fronte la generazione dei millennials, alla quale la generazione precedente non ha saputo trasmettere valori ma sta lottando per crearne di nuovi (badate bene crearne, non conquistarne…come avvenuto con la generazione ancora prima).

Regno Unito, non ti ho mai odiato anzi, ti posso solo dire buona fortuna. Giocatela, noi però faremo altrettanto!